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Pubblicato su politicadomani Num 91 - Maggio 2009
Problemi di governance
Democrazia significa
capitalismo uguale per tutti?
In un'economia mondiale giunta a livelli altissimi di integrazione è necessario partire da un sistema di regole comuni in fatto di vigilanza finanziaria. Mancare questo obiettivo significa non riuscire più a rispondere alle sfide economiche sia nazionali sia globali
di Alessia Centioni
Dopo il G20, gli argomenti primari ancora da discutere dell'agenda internazionale in materia economico-monetaria passano sul tavolo di Praga (5 aprile 2009). Le questioni, o meglio la questione del vertice rimane la supervisione finanziaria.
L'Europa giunge ancora divisa a causa di una Londra refrattaria a potenziare il ruolo della Bce, mentre riesce ad apparire unita nel sostenere l'avvicinamento dei criteri contabili tra Europa e Stati Uniti sugli asset tossici. I ministri europei sono tutti concordi con le linee guida individuate nel rapporto dei saggi presieduto da Larosiére, ma escono dal vertice senza avere ancora un'idea chiara riguardo ad un modello comune da adottare all'unanimità per realizzare la struttura di supervisione.
L'ostacolo rimane sempre Londra che si oppone, come ribadito dal Cancelliere dello Scacchiere Darling, al nuovo organo, lo European Systemic Risk Council, che si occuperà del monitoraggio e ove necessario esprimerà raccomandazioni nel settore macro-prudenziale. In altre parole Londra si oppone a rafforzare l'autorità della Bce nella guida del Consiglio europeo dei rischi collegati a strategie che investono interi sistemi economico-finanziari.
Come se non bastasse, Darling ha espresso parere negativo anche riguardo il potere di mediazione, pur sempre vincolante, delle associazioni europee di supervisione a livelli micro-prudenziali da esercitare quando si riscontrino contrasti tra le Autorità nazionali. È evidente che il rifiuto di rafforzare le istituzioni che operano una vigilanza macro-prudenziale, unito per di più a quello di dare maggiore autorità agli organismi preposti alla sorveglianza micro-prudenziale necessaria per verificare la solidità e l'onorabilità degli istituti e degli operatori finanziari, non fa che affossare il progetto d'integrazione europea nel settore delle finanze e lascia a briglie sciolte un sistema che, soprattutto nell'ultimo tragico anno economico, ha dimostrato che è indispensabile una vigilanza omogenea e vincolante di livello globale, se non altro, e non sembra poco, per tutelare l'integrità del mercato e dei risparmiatori.
Come ribadito da Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial Stability Board, in un'economia mondiale giunta a livelli altissimi di integrazione è necessario partire da un sistema di regole comuni in fatto di vigilanza finanziaria. Ci sono, dice Draghi, nella struttura normativa europea innegabili carenze sia nella regolamentazione sia nella prassi di supervisione: norme e controlli si concentrano esclusivamente su singoli istituti finanziari e trascurano il sistema d'insieme. È proprio questo approccio macro-prudenziale a delinearsi come il più efficace ma, allo stesso tempo, il più temuto nei sistemi economici e giuridici mondiali.
Tutti, nonostante le divisioni, convengono sulla necessità di migliorare i risultati fin qui raggiunti; Francia, Germania e Italia sono in linea con la proposta francese di Larosiére ma sanno di non poter escludere il Regno Unito.
Più facile è stato invece trovare un accordo sul tema delle regole contabili europee, che sono state rese più flessibili per ridurre al massimo gli svantaggi della competitività con gli Stati Uniti nella contabilizzazione degli asset tossici. La convergenza tra Ue e Usa è stata favorita dalla raccomandazione dell'Ecofin che chiedeva all'Iasb (International Accounting Standards Board ) di collaborare a stretto contatto con la Fasb (Financial Accounting Standards Board) per scongiurare divergenze di contabilità per gli strumenti finanziari.
Ca va san dire in Europa riescono a stabilirsi i principi, ma non le modalità di attuazione. L'eterogeneità politica e giuridica, allora, è assicurata.
Al di là degli interventi, spesso marginali e insufficienti, predisposti in questa settimana di vertici internazionali sarebbe bene mettere in atto sostegni strutturati capaci di affrontare le conseguenze imprevedibili e non quelle volute (che la governance mondiale ha comunque dimostrato di non saper prevedere).
Le dichiarazioni, gli accordi dei vertici che si sono susseguiti da Londra a Praga probabilmente non hanno ancora dimostrato né la capacità né la volontà del capitalismo di autoriformarsi. Emerge, piuttosto, la prospettiva di un'economia più politicizzata, dove lo stato (e cioè tutti noi) fa da cuscinetto ad operatori privati che non ha saputo tenere al guinzaglio. In futuro si prospetta una ripresa forse lenta e difficile, ma di sicuro di questo passo il capitalismo (sulle cui risorse poggiano gli investimenti futuri della comunità, lo sviluppo e la sua tenuta economico-finanziaria) si consegnerà ad uno stato indolente e impreparato, o peggio ad una politica indolente e impreparata, che non potrà più nascondersi dietro la sovranità nazionale per sottrarsi a responsabilità globali e che, impotente, non riuscirà a rispondere alle sfide economiche sia nazionali che sovranazionali.
A quel punto sarà troppo tardi per tirare il freno e non sapremo più con chi prendercela.
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